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Assemblea – Richiesta e Convocazione

Capita sovente di affrontare con i condòmini il delicato argomento inerente alla convocazione assembleare e alla “sconosciuta” ma indubbia facoltà dei condòmini stessi di richiederla formalmente all’amministratore in carica o addirittura, in particolari circostanze, di provvedervi in autonomia. Dal momento che i dubbi sono molti e che troppo spesso mi sento dire che se uno specifico argomento, anche importante, non viene affrontato in occasione dell’annuale assemblea ordinaria di approvazione dei bilanci … “se ne riparla l’anno prossimo”, ritengo sia opportuno fare chiarezza, illustrando ciò che il codice civile ed in particolar modo la Legge 220/2012 entrata in vigore il 18 giugno 2013 dispongono nel merito.

Partiamo da un presupposto fondamentale: l’amministratore è il mandatario dell’assemblea e i condòmini sono gli unici titolari del diritto reale di comproprietà sulle parti comuni. Dunque nei limiti dei poteri dell’assemblea sono questi ultimi a decidere sul da farsi, mentre all’amministratore non rimane che eseguire il deliberato e, nel rispetto delle sue attribuzioni, provvedere alla conservazione del bene comune garantendo ai condòmini la sicurezza e la fruizione dei servizi per i quali eroga le spese occorrenti (Art. 1130 cc). Ne consegue che ai sensi dell’art. 66 dacc se è vero che l’amministratore ha il potere di convocare l’assemblea “quando questi lo ritiene necessario”, è altrettanto vero che i condòmini hanno pari facoltà di pretenderne la convocazione in ogni tempo, “quando ne sia fatta richiesta da almeno due condòmini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio”.

Vi sono poi particolari eccezioni che consentono anche ad un singolo condòmino di inoltrare formale richiesta di convocazione assembleare all’amministratore pro tempore, e cioè:

  • Quando vi sono attività che incidono negativamente ed in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni (art. 1117 quater cc) per le quali sia indispensabile un intervento per porvi fine, anche mediante diffida;
  • Quando si vogliono proporre interventi innovativi previsti dal comma due, punti 1) 2) e 3) dell’art. 1120 cc in tema di sicurezza e salubrità degli edifici e degli impianti; di abbattimento delle barriere architettoniche; di contenimento dei consumi energetici; di creazione parcheggi al servizio delle unità immobiliari dell’edificio; di produzione energia mediante impianti tecnologici alimentati da fonti rinnovabili; di installazione di sistemi radio televisivi centralizzati o via cavo;
  • Quando vengono riscontrate gravi irregolarità fiscali ovvero se non è stato aperto il conto corrente condominiale per farvi transitare qualsiasi somma in entrata e in uscita (Art. 1129 cc comma 11).

 

Per la verità il connubio tra amministratore e condòmini dovrebbe poggiare su un rapporto di piena fiducia, per il quale la richiesta formale di convocazione assembleare dovrebbe essere l’extrema ratio ed avere comunque un suo naturale riscontro, atteso che riunirsi e decidere sia basilare per il benessere del condominio, ma quando questa fiducia viene meno, ovvero quando l’amministratore non dà seguito entro dieci giorni alle richieste avanzate dai condòmini (trenta giorni per le innovazioni), ecco che prevale il loro diritto di convocare direttamente la riunione e deliberare sui punti all’ordine del giorno, opportunamente inseriti nell’originaria richiesta. Ne consegue che il mandante si sostituisce necessariamente al mandatario a causa della colpevole latitanza di quest’ultimo.

A dirla tutta il codice civile menziona la possibilità di autoconvocarsi soltanto ai sensi del primo comma dell’art. 66 dacc, ma a giudizio di chi scrive e in via del tutto analogica, si suppone che la stessa occorrenza possa essere applicata a tutte le fattispecie per le quali venga offerta ai condòmini la possibilità di inoltrare una richiesta formale di convocazione alla quale l’amministratore non dia alcun seguito.

Ed è in mancanza dell’amministratore, per il suo decesso, per una sua reale inesistenza o ancora per la perdita dei requisiti di onorabilità, occorrenze previste dall’art. 71 bis dacc lettere a) b) c) d) ed e), che i condòmini, anche singolarmente, possono addirittura convocare direttamente l’assemblea, senza formalità, rispettando quanto previsto dal terzo comma dell’art. 66 dacc.

Un altro aspetto interessante che vale la pena approfondire è quello riguardante le spese di convocazione sostenute dai condòmini per le quali occorre distinguere due casi:

  • Se la convocazione viene effettuata come conseguenza di una mancata ottemperanza dell’amministratore ad una richiesta formalmente ineccepibile.
  • Se la convocazione viene effettuata direttamente e senza alcuna preventiva richiesta e cioè nei casi poc’anzi menzionati: decesso, assenza dell’amministratore, perdita dei requisiti di onorabilità.

Trattandosi di attività volte a consentire di fissare l’adunanza dei condòmini, l’unico organo decisionale del condominio, a giudizio di chi scrive le spese sostenute devono essere rimborsate dal condominio, ripartendole per millesimi di proprietà, salvo disposizione diverse contenute in un regolamento di condominio di origine contrattuale.

I limiti della delega in condominio

(di seguito il testo di un articolo a firma Stefano Boldrini apparso in “Dossier Condominio” MAGGIO-GIUGNO n. 165 di ANACI)

In condominio l’istituto della delega consente ai condòmini, impossibilitati a partecipare all’assemblea, di nominare un rappresentante di fiducia cui demandare il loro diritto di voto. Le regole per poter esercitare questa importante facoltà di espressione per procura sono poche ed ormai assodate, ma dietro ad un semplice pezzo di carta possono nascondersi insidie del tutto inaspettate. Nella novellata riforma, la L. 220/2012 entrata in vigore il 18 giugno 2013, il primo comma dell’art. 67 dacc dedica poche righe all’argomento, peraltro generiche, che possono dar luogo ad interpretazioni estensive su cui è bene fare qualche riflessione.

“Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale”

L’unico requisito che la norma dispone in modo chiaro ed inequivocabile è la forma scritta, ma nella realtà è necessario che la delega contenga altri elementi essenziali, senza i quali sarebbe impossibile validarla: innanzitutto un chiaro riferimento di chi sia il condòmino delegante, con il calce la propria firma in originale, ma anche l’indicazione del nome e cognome del delegato, sia esso condòmino o terzo. Un ultimo elemento imprescindibile è il riferimento all’assemblea cui la delega si riferisce, con la precisazione perlomeno della data di svolgimento, sia di prima che di seconda convocazione. Soltanto una delega compilata in modo siffatto contiene le informazioni basilari che consentono al Presidente di accettarla, attribuendo al delegato intervenuto in assemblea il diritto di voto in vece del condòmino delegante.

La questione però non è del tutto risolta, perché il delegato potrebbe essere sconosciuto ai partecipanti all’assemblea, ponendo quindi la necessità di verificarne le generalità. Può il Presidente chiedere al delegato l’esibizione di un documento? E se non ne avesse alcuno? Lo scenario si complica e non poco, perché impedire l’espressione del voto all’avente diritto può comportare, ex art. 1137 cc,  l’annullabilità di qualsiasi delibera assembleare assunta, con evidenti ripercussioni negative sul condominio stesso. Ebbene l’esibizione di un documento di riconoscimento è del tutto facoltativa e non può essere imposta, tanto che il Presidente, in caso di rifiuto, potrebbe effettivamente impedire l’espressione del voto al delegato, avendo l’accortezza di indicare nel verbale una breve descrizione delle motivazioni che lo hanno portato a prendere questa decisione, a futura memoria. Del resto il riconoscimento del delegato è indispensabile perché una delega non può essere oggetto di ulteriore delega, lo dispone in modo del tutto analogico lo stesso art. 67 dacc.

Un altro scenario interessante si apre con il seguente quesito: il condòmino delegante, proprietario di più unità immobiliari nello stesso condominio, può delegare più rappresentanti, fino a nominarne uno per ogni singola unità immobiliare posseduta? E’ lo stesso art. 67 dacc a fornire la risposta a questa domanda del tutto inappropriata. Il condòmino in questione conta come “uno” e se desidera delegare qualcuno a rappresentarlo in assemblea non può scindere le sue proprietà, perché altrimenti aumenterebbe a proprio vantaggio il numero delle “teste” ovvero uno dei quorum deliberativi che devono essere raggiunti per approvare una delibera.

La seconda parte del primo comma dell’art. 67 dacc introduce un ulteriore elemento di analisi che merita particolare attenzione. Leggendo quanto in esso riportato si desume che il legislatore abbia voluto limitare, per quanto possibile, l’eccessivo potere di rappresentanza in assemblea; dispone infatti che in presenza di oltre venti condòmini (non unità immobiliari) il delegato non possa rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale. Vale la pena ricordare che la norma in esame, per effetto di quanto disposto dall’art. 72 dacc, è inderogabile e che pertanto neanche un regolamento di condominio può disporre diversamente, salvo che non “restringa” ulteriormente il numero delle deleghe, richiamando di fatto i condòmini ad una maggiore responsabilità e partecipazione alla vita condominiale. Tuttavia l’aspetto più dibattuto e interessante su cui riflettere è il significato della congiunzione “e” che parrebbe accomunare il raggiungimento delle due soglie citate, ovvero il numero di condòmini e il valore dei millesimi. La norma pone un limite al numero di deleghe che oltrepassi contemporaneamente entrambi i valori, oppure anche al raggiungimento di uno solo dei due? Se cerchiamo altri esempi che possano chiarire le intenzioni del legislatore, il comma 2 dell’art. 1136 cc ce ne offre uno del tutto analogo: “sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti “e” almeno la metà del valore dell’edificio. Ne consegue che il limite è posto al raggiungimento contemporaneo di entrambi i valori citati. D’altronde non potrebbe essere altrimenti. Se un condòmino di un edificio con oltre venti condòmini possedesse più di 200 millesimi non potrebbe mai delegare nessuno a rappresentarlo in assemblea, il che rappresenterebbe una seria limitazione all’espressione di voto in assemblea.

Revoca mandato amministratore

I condòmini pensano erroneamente che il mandato di amministratore di condominio possa essere revocato soltanto in occasione dell’assemblea annuale di approvazione dei bilanci, quando all’o.d.g. l’amministratore deve indicare un apposito punto che consenta ai suoi amministrati di confermare o revocare l’incarico e, se ne ricorrono i presupposti, nominare il nuovo amministratore. Non è così.

L’art. 1129 cc, che tra l’altro è inderogabile, recita:

La revoca dell’amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall’assemblea, con la maggioranza prevista per la sua nomina

Ciò significa che i condòmini, in virtù di quanto disposto dall’art. 66 dacc possono chiedere all’amministratore in carica di convocare l’assemblea per revocargli l’incarico e in assenza di risposta entro 10 giorni, possono legittimamente autoconvocarsi e deliberare.

A nulla può valere la latitanza dell’amministratore perchè nel caso in cui non ottemperi all’obbligo di convocazione può essere revocato per gravi irregolarità, come previsto dall’art. 1129 cc comma 12 punto 1), prima passando da una delibera assembleare e poi, in mancanza di quorum, rivolgendosi ad un giudice.

Vale la pena ricordare che il condominio è dei condòmini. L’amministratore opera in virtù di un mandato assembleare che come tale può essere revocato sempre, a maggior ragione quando viene meno la fiducia.

Potere di spesa dell’amministratore

Contrariamente a quanto si pensa, l’amministratore non ha potere di spesa se non per quanto è stato deliberato dall’assemblea dei condòmini. L’unica eccezione è costituita dalle spese “urgenti” indicate nel secondo comma dell’art. 1135 cc:

L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea

Il testo della norma non fa riferimento alle spese ordinare che devono necessariamente passare al vaglio preventivo dell’assemblea, ma solo a quelle straordinarie urgenti. Ma cosa si intende per spese straordinarie urgenti?

Si tratta in sostanza delle spese necessarie per interventi compiuti in modo da evitare ulteriori danni a cose o, peggio, a persone. Del resto sull’amministratore grava costantemente il peso di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 40 cp:

non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo

Un cornicione pericolante, una condotta d’acqua che improvvisamente si rompe, un parapetto di un terrazzo condominiale di altezza inferiore al minimo di legge, una pericolosa sconnessione della pavimentazione di un vialetto pedonale … sono solo alcuni  esempi per i quali è necessario intervenire tempestivamente e per i quali i tempi di convocazione assembleare potrebbero costituire una variabile troppo estesa per garantire l’incolumità altrui.

In questi casi l’intervento dell’amministratore è indispensabile, perchè il suo mandato lo investe della piena responsabilità di custodia delle parti comuni. Ma fino a dove può spingersi il suo margine di manovra? La risposta più corretta è: al minimo indispensabile per ottemperare ai suoi obblighi … nulla di più.

Tornando agli esempi precedenti basterebbe la spicconatura del cornicione, oppure un’imbragatura che impedisca la caduta rovinosa dei pezzi d’intonaco; limitarsi a riparare provvisoriamente il tubo per evitare ulteriori danni alle unità immobiliari e alle parti comuni; inibire l’ingresso di chiunque al terrazzo, chiudendo a chiave la porta di accesso e apponendo un cartello di pericolo; transennare la zona interessata dalla sconnessione impedendo che chiunque possa farsi del male cadendo.

Ogni altra opera di rimessa in pristino deve essere adeguatamente preventivata e deliberata in assemblea, l’unico organo titolato a decidere sulla questione.

Nullità e annullabilità delle delibere

Si dibatte spesso sulla nullità o annullabilità delle delibere soprattutto quando qualche condòmino si sente leso nei propri diritti. Occorre quindi fare chiarezza.

Cominciamo col dire che ai sensi dell’art. 1137 cc qualsiasi delibera assembleare può essere impugnata. Nella stragrande maggioranza dei casi i tempi massimi di impugnazione sono di 30 giorni, e più precisamente:
Per i presenti all’assemblea: 30 giorni dalla data di assemblea. L’impugnazione può essere fatta soltanto da chi abbia votato contro o si sia astenuto e sia coinvolto in prima persona dalle conseguenze della delibera stessa;
Per gli assenti: 30 giorni dal ricevimento del verbale d’assemblea (data certa). Ne consegue che se non lo ricevono, i tempi non decorrono mai.

Decorsi i termini appena descritti la delibera assembleare non può più essere impugnata e rimane efficace. Una delibera può infatti essere sospesa soltanto da un giudice perchè altrimenti mantiene la sua validità dal momento in cui viene assunta dall’assemblea. Se il giudice ravvisa gli estremi per annullare la delibera, gli effetti si ripercuotono solo su quella delibera, a meno che (per esempio a causa di vizi sulle modalità di convocazione) l’annullamento non coinvolga tutte le delibere di una determinata assemblea.

Esistono invero rarissimi casi in cui una delibera può essere radicalmente nulla, e come tale impugnabile “in ogni tempo e ad opera di chiunque ne abbia interesse” (e quindi anche dai presenti che abbiano votato favorevolmente alla delibera stessa). Sono casi piuttosto circoscritti ma possono essere causa di gravi ripercussioni, per esempio se in virtù di una delibera sono stati firmati dei contratti di appalto che, proprio per la nullità della delibera, perdono completamente valore.

E’ una Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite (la n. 4806 del 7 marzo 2005) a indicare una netta linea di demarcazione in merito al concetto di nullità e annullabilità delle delibere assembleari:

Queste Sezioni Unite ritengono che debbano qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o sevizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto.

Debbano, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.”

Un buon amministratore sa riconoscere una delibera “in odore” di impugnazione ed è suo dovere informare l’assemblea per evitare inutili battaglie legali.

Amministratore in assemblea

Benchè molti non lo sappiano, l’amministratore di condominio non è investito di alcun potere, salvo quelli a lui attribuiti dall’art. 1130 cc, e che gli derivano dalla posizione di custode delle parti comuni. E’ l’assemblea ad avere il pieno controllo del condominio,  mentre all’amministratore spetta soltanto il compito di eseguire le delibere approvate.

L’amministratore, una volta convocata l’assemblea ai sensi dell’art. 66 dacc, esaurisce il suo compito “istituzionale”. La sua presenza in assemblea è infatti del tutto superflua essendo demandati al Presidente, regolarmente eletto prima della costituzione, tutti gli adempimenti previsti dal codice civile:
1) la verifica che tutti gli aventi diritto siano stati convocati;
2) la verifica della titolarità dei presenti;
3) la verifica delle deleghe;
4) la verifica dei quorum costituivi e deliberativi;
5) la cura dello svolgimento dell’assemblea secondo i punti all’odg;
6) la responsabilità di redigere il verbale insieme al segretario, e di leggerlo al termine dell’assemblea prima di apporvi una firma congiunta, a suggello della fedeltà di quanto riportato.

L’amministratore è invece una presenza costante, ma soltanto perchè la maggioranza delle assemblee riguarda l’approvazione di bilanci, preventivi e consuntivi, su cui l’amministratore deve poter fornire tutti i chiarimenti del caso. Un buon amministratore rimane defilato e interviene solo quando necessario, forte dell’esperienza, della professionalità e della preparazione che tutti gli amministratori 2.0 (quelli cresciuti con la nuova riforma) dovrebbero avere.

Non si tratta di un dettaglio di poco conto, perchè in molte occasione si percepisce il timore reverenziale dei condòmini nei confronti del proprio amministratore, come se fosse una persona intoccabile. Non ci stancheremo mai di dire che il condominio è dei condòmini e che l’amministratore ha il compito di farlo prosperare e di salvaguardare la sicurezza dei condòmini, sotto tutti i punti di vista.

 

La convocazione. Gli aventi diritto

La convocazione assembleare è di fondamentale importanza perchè deve essere indirizzata a tutti coloro che abbiano titolo per poter partecipare alla riunione. La nuova riforma introdotta dalla L. 220/2012 ed entrata in vigore il 18 giugno del 2013 ha introdotto novità interessanti inerenti ai soggetti a cui tale convocazione va inviata perchè si parla di “aventi diritto” e non soltanto di “condòmini”. Ne consegue che la platea dei potenziali partecipanti aumenta e la loro presenza è strettamente correlata agli argomenti da discutere e deliberare. Una complessità cui tutti gli amministratori devono adeguarsi.

Condòmini: sono coloro che vantano diritti reali (proprietà) su almeno una unità immobiliare nel condominio. In presenza di più comproprietari, la convocazione deve essere inviata a tutti.

Conduttori: sono coloro che vantano diritti di godimento (locazione) o di comodato d’uso e devono essere convocati se all’ordine del giorni vi sono argomenti inerenti alle spese relative al servizio di riscaldamento o raffrescamento, argomenti sui quali hanno anche diritto di voto. Non hanno diritto di voto, ma di partecipazione, in tutti gli argomenti che abbiano a che fare con le modificazioni degli altri servizi comuni (es. pulizie).

Usufruttuari e Nudo proprietari: i primi devono essere convocati per tutte le questioni di ordinaria amministrazione e per argomenti inerenti la fruizione dei servizi comuni. I secondi intervengono per le questioni straordinarie.

E’ del tutto evidente che se nell’ordine del giorno sono presenti punti in cui, a seconda degli argomenti, hanno diritto di voto tutti o una parte degli aventi diritto, la questione andrà tenuta in debita considerazione per il calcolo dei quorum.

 

Le deleghe

Le deleghe nelle assemblee di condominio rappresentano uno strumento essenziale per garantire il raggiungimento dei quorum costitutivi e deliberativi, ma è necessario conoscere bene le norme che ne regolano l’impiego.

In verità sono poche le righe dell’art. 67 dacc che dispongono in merito alle deleghe assembleari:

Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale.

La prima cosa che si può notare è che la delega deve essere scritta e deve essere riferibile alla specifica assemblea, in prima o in seconda convocazione, per cui viene rilasciata.  Il delegato, condòmino o estraneo che sia, deve quindi consegnare la delega al Presidente per poter essere inserito nella lista dei presenti e partecipare all’assemblea.

La responsabilità del voto espresso dal delegato è solamente nei confronti del delegante ed il voto è, a tutti gli effetti di legge, espresso in nome e per conto del delegante stesso. Ciò significa che se il delegato vota favorevolmente in una delle delibere all’ordine del giorno contro la volontà del delegante, tale delibera non può essere impugnata ex art. 1137 cc, impugnazione che comunque spetta sempre al condòmino delegante e non al delegato.

Una delega non può essere oggetto di ulteriore delega. Chi riceve una delega non può quindi delegare nessun altro per il voto riferibile a quella delega ma può, se anche il delegato è condòmino, delegare il suo voto a un terzo.

La norma specifica che nel caso in cui il condominio conti più di venti condòmini (quindi da ventuno in avanti) il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale, che si intende millesimale. La congiunzione “e” sta a significare che il divieto nasce quando entrambi i limiti vengono superati (non raggiunti). Se un condòmino ha un numero di deleghe superiore a un quinto dei condòmini ma il totale dei millesimi rimane al di sotto di un quinto di quelli totali, tale condòmino può esprimere il voto per tutte le deleghe possedute. La stessa cosa vale in riferimento ai millesimi.

L’articolo 67 dacc è inderogabile, come stabilito dall’art. 72 dacc. L’inderogabilità consiste nell’impossibilità giuridica di poter superare tali limiti, ma non di restringerli ulteriormente. Una norma di un Regolamento di Condominio, anche assembleare, ben potrebbe ridurre la rappresentanza mediante delega, garantendo in questo modo una maggiore partecipazione dei condòmini alle decisioni assembleari.

La normativa sull’assemblea

L’assemblea è l’organo decisionale del condominio, anzi, è l’unico organo decisionale, poiché l’amministratore, a parte i provvedimenti che gli derivano dall’obbligo di compiere gli atti conservativi sulle parti comuni, non ha alcun potere decisionale, eccetto gli interventi urgenti per salvaguardare l’incolumità pubblica e che, in ogni caso, devono successivamente essere ratificati dall’assemblea. Il consesso assembleare è quindi il fulcro attorno al quale ruota l’intera vita della comproprietà condominiale. Da ciò ne consegue che qualsiasi decisione venga presa al di fuori dell’assemblea non ha alcun valore.

I compiti dell’assemblea si possono riassumere nei seguenti punti:

  1. Provvedere alla nomina e alla conferma dell’amministratore con relativa retribuzione;
  2. Approvare le spese preventive con relativa ripartizione in base alle tabelle millesimali;
  3. Approvare il rendiconto condominiale e decidere sull’impiego dell’eventuale residuo attivo di gestione;
  4. Provvedere alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari a quello dei lavori o, se previsto, per stato di avanzamento lavori.

L’assemblea ha naturalmente la facoltà, in riferimento ai punti 2 e 4, di stralciare le voci di costo ritenute superflue, ma ha comunque l’obbligo di provvedere alle spese, fornendo i mezzi economici necessari per farvi fronte, in virtù del mandato conferito all’amministratore.

Convocazione

L’assemblea deve obbligatoriamente essere convocata dall’amministratore almeno una volta all’anno, per la conferma della sua nomina e per l’approvazione del rendiconto condominiale, entro 180 giorni dal termine dell’esercizio a cui il rendiconto si riferisce. Spesso in questa stessa assemblea vengono discusse anche le spese preventive, ma è anche possibile prevedere una seconda assemblea, dedicata specificatamente alla loro approvazione, che normalmente viene effettuata prima dell’inizio dell’esercizio a cui tali previsioni di spesa si riferiscono.

Oltre quella obbligatoria, l’assemblea può essere convocata ogni qual volta l’amministratore lo ritenga necessario o, in generale, quando ne facciano richiesta almeno due condòmini che rappresentino 1/6 del valore millesimale del condominio.

Prima di inviare l’avviso di convocazione, l’amministratore deve accertarsi che gli argomenti su cui i condòmini sono chiamati a deliberare coinvolga i giusti destinatari. Per fare un esempio, in un condominio composto da due edifici distinti, il rifacimento del tetto di uno solo dei due fabbricati deve essere deliberato soltanto dagli interessati, e non da tutto il condominio.

L’avviso di convocazione deve pervenire ai condòmini almeno 5 giorni prima della data di prima convocazione, a meno che il regolamento condominiale non preveda intervalli più lunghi. Deve obbligatoriamente essere recapitato per raccomandata, posta certificata, fax, o mediante consegna a mano con firma per ricevuta.

L’avviso deve contenere alcuni dati minimi:

  • la data e l’ora di prima e seconda convocazione (la seconda da tenersi a distanza di un giorno dalla prima e comunque entro i dieci giorni successivi);
  • il luogo di svolgimento;
  • l’ordine del giorno in cui elencare per sommi capi l’oggetto di ogni singola discussione per cui viene richiesta una deliberazione;
  • nome, cognome e firma dell’amministratore.

In casi particolari l’avviso di convocazione può riportare anche ulteriori date successive in cui proseguire l’assemblea regolarmente costituita. Si pensi a lavori particolarmente complessi e onerosi per i quali sia necessario analizzare attentamente un certo numero di preventivi.